martedì 5 aprile 2011

"La mia vita in uno scatolone"


«Quel poco che è riuscito ad avere di casa sua, dove sono morte la moglie Claudia, sua coetanea, e la figlia Fabrizia, di 9 anni, sta tutto dentro due scatoloni: “Non sono nemmeno grandi. Saranno un metro cubo al massimo. Ma per me hanno un’importanza immensa. Rappresentano il filo di continuità della vita di adesso con la vita di prima. I sapori, gli odori, le immagini di una vita che non c’è più. Il resto te lo tieni dentro. Ricordandotelo nel modo più bello possibile. C’è qualche gioco di Fabrizia, una foto di matrimonio dove è andato via il margine e siamo rimasti solo io e lei. La chitarra di mia moglie. La chitarra che avevamo regalato a Fabrizia. Sembra poco. Ma non sono cose inanimate. Chi ha perso i suoi cari in un incidente può tornare tra le sue cose. Noi no. Non abbiamo più nulla. Un peluche o un ciondolo hanno un valore immenso, perché ti legano all’altra vita. Poi il resto ce l’hai dentro. Cerchi di vivere. Cerchi di far sì che la vita di tuo figlio, che è la cosa più importante per me, sia quella che la mamma voleva per lui”.

Vincenzo Vittorini, chirurgo di 47 anni, rimase sette ore sotto le macerie della palazzina di via XX Settembre crollata dopo il sisma che colpì l’Aquila il 6 aprile 2009. Insieme ad altri familiari di vittime del terremoto ha creato la "Fondazione 6 aprile per la vita":


“Non solo per condividere il dolore immenso. Ma perché vorremmo che da quella notte maledetta partisse un progetto di vita. Non solo per ricordare chi non c’è più. Ma per far sì che questo paese capisca che serva una cultura della prevenzione. Perché 309 persone morte, non sembra ma sono tante. Sono una città. E allora noi piangiamo, perché per noi il 6 aprile è tutti i giorni, ma dobbiamo fare in modo che altri non piangano. E questo vale anche per la ricostruzione. Non deve essere una ricostruzione di belle mattonelle, ma una ricostruzione sicura”».


Fonte: Il Corriere della Sera (05/04/2011)
Fotografia: www.ambienteambienti.it

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