sabato 23 gennaio 2010

"Reporters sans Frontières": i paladini della libertà di stampa nel mondo


PARIGI.“Senza una stampa libera nessuna lotta democratica può essere conosciuta, capita, sostenuta”. Il messaggio è universale e viaggia dall’Africa al Medio Oriente, dall’Europa all’America, sostenuto da Reporters sans Frontières, l’organizzazione internazionale nata a Parigi nel 1985 che difende la libertà di stampa nel mondo. Perché negli ultimi cinque anni più di 340 professionisti dei media hanno perso la vita mentre lavoravano per informarci. E, al giorno d’oggi, più di 130 giornalisti sono imprigionati semplicemente per aver esercitato il loro mestiere, per aver avuto il coraggio di raccontare, nonostante i rischi, le minacce, le intimidazioni. A Cuba, in Eritrea o in Cina, un giornalista può trascorrere mesi e mesi in galera per un articolo, per una foto. Per questo, da ventiquattro anni ormai, RSF denuncia i “predatori della libertà di stampa”, quegli uomini che imbavagliano la stampa oppure ordinano ai loro subordinati di farlo. In genere sono responsabili politici di alto livello, capi di governo, ministri, monarchi, ma anche gruppi armati o cartelli della droga, mafie locali. Gente che ha il potere di censurare, rapire, torturare e nel peggiore dei casi uccidere i giornalisti, senza rendere conto dei gravi attentati alla libertà d’espressione di cui sono colpevoli. E questa impunità è uno dei pericoli più grandi che i reporter sono costretti a fronteggiare.



Nel 2008 sono 39 a portare questo titolo. Fidel Castro è sparito perché ha lasciato il suo posto al fratello Raul, lo stesso vale per l’ex presidente del Pakistan Pervez Musharraf. Nella nuova lista sono però entrate Hamas, le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania e quelle israeliane che attaccano costantemente i reporter che documentano le loro incursioni nei territori palestinesi. Ci sono poi il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, quello siriano Bashar al-Asad, i gruppi islamisti armati dell’Afghanistan, dell’Iraq e del Pakistan, i cartelli della droga messicani, il presidente della repubblica popolare cinese Hu Jintao, quello della Federazione Russa, Dimitri Medvedev e del primo ministro Putin, l’Ayatollah Khomeini, l’organizzazione terroristica basca dell’ETA, le mafie e le organizzazioni criminali italiane. Anche nello Sri Lanka, in Corea del Nord, in Somalia, Eritrea e in vari stati dell’Africa i nemici della libertà stampa sono numerosi.

Assassini, reclusioni, minacce di morte, rapimenti, punizioni economiche: i metodi adottati sono tanti. Il barometro 2009 della libertà di stampa parla chiaro: 35 giornalisti uccisi, 176 reporter e 10 collaboratori arrestati, 93 cyberdissidenti imprigionati. Professionisti che non hanno mai smesso di osservare l’Altro, sguardi che spesso si sono caricati di rabbia e tristezza per un’inspiegabile crudeltà. L’equipe di Reporters sans Frontières li sostiene, offrendo loro assistenza attraverso il dispositivo SOS Presse: componendo un numero di telefono, in qualunque momento, un responsabile dell’associazione, fornisce loro dei contatti, allertando le autorità locali e consolari o agendo secondo quanto la situazione richiede. L’attenzione dell’organizzazione è focalizzata in particolare sui giornalisti freelance che rischiano la vita per raccontare i conflitti che insanguinano il pianeta. Qualora vengano feriti, uccisi o presi in ostaggi, gli inviati di RSF sparsi nel mondo si mettono all’opera, conducendo delle inchieste personali per far luce sulle dinamica degli eventi ed individuare i responsabili. Perché anche in tempo di guerra, l’impunità deve essere combattuta con vigore. Proprio come ha cercato di fare Déo Namumjumbo, un giornalista freelance congolese, corrispondente di Reporters sans Frontières, dell’agenzia di stampa InfoSud/Suisse e del magazine femminile Amina.



Con i suoi articoli, Déo denunciava le ingiustizie, i soprusi subiti dalla popolazione locali e dai bambini costretti ad arruolarsi per combattere le guerre di regime. Temeva per la sorte dei suoi familiari, aveva paura. Finché un giorno non uccisero suo fratello minore, Didace. Sconvolto dal dolore, con coraggio nel novembre 2008, Déo inizia un’inchiesta per far luce sul caso, individuare i responsabili e spingere le autorità a processarli. Gli elementi raccolti e le continue minacce telefoniche, portarono all’arresto di una decina di persone. «Ma da quel momento in poi, la mia vita cambiò», racconta. «Non avevo più una vita normale. Venivo minacciato costantemente ed ero costretto a viaggiare a Uivira, Walungu e Goma, in Ruanda, dove trascorrevo molti giorni in hotel, sotto falsa identità. Questo per non essere visto a Bukavu (ndr città della Repubblica democratica del Congo) dove vive la mia famiglia. Spesso dovevo rimanere in casa finché i miei figli non si coricavano, poi andavo a dormire da amici o cugini e rientravo a casa per le cinque del mattino, prima che i bambini si svegliassero, con la paura che si accorgessero di tutto e ne rimanessero traumatizzati». Dopo aver ricevuto nel 2009 la Plume D’Or, il premio mondiale assegnato ogni anno per la libertà di stampa dalla WAN, la World Association of Newspapers”, Déo ora vive a Parigi, alla Maison des Journalistes (l’associazione francese che accoglie i giornalisti di tutto il mondo vittime di minacce, torture e persecuzioni nei loro Paesi); qualche mese fa ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Francia e attualmente gli otto figli e la moglie vivono sotto la protezione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.



Nel mese di ottobre, Reporters sans Frontières ha pubblicato la nuova classifica della libertà di stampa nel mondo. Il rapporto nasce grazie alle risposte fornite da centinaia di giornalisti ed esperti di quasi tutto il mondo al questionario preparato da RSF. E tiene conto delle violazioni alla libertà di stampa tra il primo settembre 2008 e il 31 agosto 2009. Sono più di 50 i criteri che hanno contribuito alla redazione del rapporto. Ci sono le aggressioni, gli arresti e le intimidazioni subite dai giornalisti, le minacce indirette, le pressioni e l’accesso all’informazione, la censura e l’auto-censura, lo stato dei media pubblici, le pressioni amministrative, giudiziarie ed economiche, la situazione di Internet e dei nuovi media, il numero di giornalisti assassinati, arrestati, aggrediti, minacciati e la responsabilità dello Stato in questi atti. «La libertà di stampa deve essere difesa in tutto il mondo, con la stessa forza e la stessa esigenza», ha commentato il segretario generale di RSF, Jean-François Julliard.



Il rapporto dice l’Europa è esemplare in termini di libertà di stampa. I primi posti sono infatti occupati da nazioni europee. La classifica è guidata dalla Danimarca, seguono poi Finlandia, Irlanda, Norvegia, Svezia, Estonia, Paesi Bassi e così via. L’Italia perde cinque posizioni rispetto al 2008 e si colloca al quarantanovesimo posto, dietro Paesi come la Giamaica, il Sudafrica, il Ghana, il Costa Rica, la Lituania e la Bosnia-Erzegovina. «La cosa più inquietante – commenta Julliard – è che grandi democrazie europee come la Francia, l’Italia o la Slovacchia, continuino anno dopo anno, a perdere posti nella classifica. L’Europa deve essere esemplare nel garantire le libertà pubbliche. Altrimenti com’è possibile denunciare le violazioni nel mondo, attuandole nel proprio territorio?». Il cosiddetto “effetto Obama” ha permesso agli Stati Uniti di scalare la classifica, sono al ventesimo posto e guadagnano 16 posizioni rispetto all’anno passato. Nei gradini più bassi, a preoccupare è invece la situazione dell’Iran, il Paese si avvicina infatti al “trio infernale” per la libertà di stampa, costituito ormai da anni dall’Eritrea, dalla Corea del Nord e dal Turkmenistan. Luoghi dove i giornalisti vengono minacciati. Dove qualunque voce non allineata ai regimi che governano, viene bandita, soffocata. Sono voci che spaventano, perché le parole non appartengono solo a chi le pronuncia. Ma a coloro che le ascoltano. E le ascolteranno. Le parole corrono, non si possono fermare. Perché, come scrive Roberto Saviano, pensando a Orhan Pamuk, Salman Rushdie, Anna Politkovskaja e tanti altri giornalisti e scrittori nel mondo, la potenza della parola, la sua forza letteraria, “sta proprio nella sua fruibilità, che la rende in grado di andare oltre ogni limite, di andare nel tempo quotidiano di chiunque, divenendo strumento ingovernabile e capace di forzare ogni maglia possibile”.



Testi e fotografie di Vincenzo Sassu