venerdì 3 giugno 2011

Manhattan Post: Oceano


Tra gli arrivi dei voli nazionali e il Terminal T3 delle partenze internazionali c’è una navetta di turisti arrossati dal sole romano, signore in paglietta, ragazze in gonna ed infradito, uomini mastodontici in capellini da baseball. Negli sguardi si intravedono Piazza di Spagna e Fontana di Trevi, il Panthèon, il Colosseo e via del Corso. Una valigia di ricordi da sistemare da sistemare nelle credenze di casa e nei comò.

Al check-in mi chiedono l’indirizzo dell’appartamento dove soggiornerò. I controlli di sicurezza sono interminabili. Arrivo al gate che sono ormai le 11. Ci comunicano che l’aereo partirà con qualche minuto di ritardo. Faccio le ultime telefonate di saluti e raccomandazioni. Mi guardo intorno: la vivacità dei bambini e la spossatezza degli adulti, l’attesa dell’inizio e la malinconia della fine diventano metafore di vita. C’è una famiglia di ebrei ortodossi: vestito nero e camicia bianca, leggono, accarezzandosi i cernecchi in simbiosi.

L’A330 della Delta Airlines è pronto. Le procedure di imbarco si svolgono rapidamente. Prendo posto al 27 J, finestrino. Di fianco, Janet, una signora di mezza età di Long Island, occhi chiari e lineamenti delicati. Con sguardo entusiasta mi racconta della sua vacanza italiana: due settimane tra la Capitale e i colli romani.
Alle 12, in un attimo, siamo oltre le nuvole, sorvoliamo la Spagna e ci tuffiamo sull’oceano. Prendo appunti, leggo, chiacchiero con Janet, le parlo della mia isola, della sua cultura, dei suoi costumi e tradizioni, della natura dei sardi.

Nella conversazione interviene Giuseppe, un signore sulla settantina, baffi brizzolati e capellino da baseball. Lo vedo che sorride di un sorriso nostalgico. Mi dice di essere originario di Pattada, un paesino di 5 mila abitanti dell’entroterra sardo. “Ho lasciato la Sardegna quando avevo appena dodici anni e ora vivo oltreoceano da oltre cinquant’anni. Ma il ricordo della nostra terra è sempre vivo nei pensieri. E a volte sogno. Sogno le passeggiate estive con mio nonno per andare in campagna, i pomeriggi a coltivare il campo, il cammino di ritorno a casa al tramonto. Quando il sole tingeva di rosso l’atmosfera e bruciava gli ultimi fili d’erba ancora rimasti”.

Parole che mi riportano all’infanzia, al profumo dell’erba appena tagliata, a quello della sabbia dopo un temporale e del mare in primavera. Al corbezzolo e all’oleandro. Alle vacanze trascorse a Cala Gonone e ai torridi pomeriggi estivi. Alle serate trascorse a giocare in piazza.

Sensazioni che mi accompagnano guardando oltre il finestrino, dove l’azzurro del mare si sfuma nel celeste del cielo. E le nuvole assumono forme strane, disegnano sentieri: montagne di zucchero filato. L’oceano brilla. Un luccichio frenetico. Un concerto di colori.

Di sole e d’azzurro.


Testo e fotografia di Vincenzo Sassu

giovedì 2 giugno 2011

Manhattan Post: Il Mediterraneo, un lago di sogni


Dieci, cinquanta, cento, duecento. Quando l’aereo spicca il volo dall’aeroporto di Alghero, raggiungendo i 300 km/h circa, sono le sette del mattino. Lo fa con grazia, tanto che nemmeno il frastuono dei motori a pieni giri, riesce a destarmi dal torpore in cui ero piombato durante le istruzioni di salvataggio.

Quando apro gli occhi osservo la Sardegna sonnecchiare dall’alto, coperta da una leggera foschia che ne ammanta il paesaggio, rendendolo quasi incantato. Da lassù sembra il frutto di un puzzle complicatissimo di appezzamenti coltivati di terra, di poderi selvaggi e giardini ben curati. Te ne accorgi dai colori: giallo, verde, marrone a seconda della cura con cui sono stati coltivati o dell’abbandono in cui li hanno lasciati.

Oltre le nuvole, il paesaggio assume i colori scintillanti, giovani del mattino. L’azzurro vivo del cielo e il rosso acceso del sole si riflettono sul mare in una scia di luce così intensa, che sembra dividerlo. Un sentiero che si allarga per diventare una pozza di luce, un lago di sogni.

Arrivo a Roma che sono le otto.


Testo e fotografia di Vincenzo Sassu