giovedì 13 maggio 2010

Al via il governo Cameron



Il neopremier conservatore forma il gabinetto. Oltre a Clegg vicepremier, il 38enne Osborne alle Finanze e l’euroscettico Huge agli Esteri. È la crisi economica il primo problema da affrontare

LONDRA. "Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, bensì quello che tu puoi fare per il tuo Paese". Il famoso slogan di Kennedy ora appartiene anche a David Cameron, che ha ricevuto dalla regina Elisabetta l’incarico di formare il nuovo governo, diventando il 52mo primo ministro della storia britannica e, con i suoi quarantatre anni, il più giovane dal 1812. Dopo giorni di trattative che avevano lasciato il Paese col fiato sospeso, l’aristocratico leader dei Conservatori ha infatti trovato un accordo con Nick Clegg dei Liberal Democratici per un esecutivo di coalizione. Seppur infatti i Tory avessero ottenuto più voti di tutti alle elezioni del 6 maggio scorso, non avevano raggiunto il numero di seggi sufficiente (326) per una maggioranza assoluta. E’ una svolta storica quella britannica. Non solo per la fine del mandato laburista durato tredici anni e sancito dalle dimissioni del primo ministro uscente Gordon Brown, 59 anni, ma perché l’ultimo governo di coalizione lo guidò Winston Churchill che, durante la seconda guerra mondiale, formò un governo con Tory, Laburisti e Liberali.



Tutto è ruotato attorno alla figura dell’outsider Nick Clegg, 43 anni, l’uomo che ha tenuto per giorni la Gran Bretagna sulle spine. Uscito sconfitto dalle elezioni con soli 57 seggi conquistati, è diventato fondamentale nel gioco di alleanze per la formazione di un maggioranza congiunta che desse stabilità al Paese. Consapevole dell’importanza acquisita dal suo partito, ha trattato sia con i Labour che in Tory, scegliendo alla fine il partito che gli offriva maggiori garanzie: i conservatori. Dato il fallimento dei negoziati tra Laburisti e Liberal Democratici, in un incontro con la stampa, davanti alla sua residenza di Downing Street, il premier uscente Gordon Brown, accompagnato dalla moglie Sarah, ha rassegnato le dimissioni e lasciato la leadership del partito, facendo gli auguri al suo successore. Secondo la Tv pubblica inglese, BBC, quello di Brown non sarebbe solo un addio all’incarico che ricopriva dal 2007 ma anche all’attività parlamentare e politica. Non si conoscono ancora i termini ufficiali dell’intesa raggiunta tra Tory e Lib-dem. Ma Clegg, che sarà vice premier, dovrebbe aver rinunciato alla richiesta di amnistia per i clandestini prevista dal suo programma e aver ottenuto dai Conservatori la possibilità di un referendum per un evoluzione in senso proporzionale dell’attuale sistema di voto, maggioritario uninominale secco, che penalizza i piccoli partiti. Nella nuova compagine governativa preparata da Cameron, i Lib-dem avranno quattro ministeri. Ai conservatori andrà il ruolo chiave di Cancelliere, il titolare dell’economia, destinato al giovanissimo (38 anni) George Osborne, e sicuramente il dicastero alla Difesa e alla Sanità, affidati rispettivamente a Liam Fox e Andrew Lisley. A far discutere invece è il nuovo ministro degli Esteri, William Huge, un euroscettico convinto che potrebbe minare le basi dell’alleanza con i Liberal Democratici, filo-europeisti per tradizione. Intanto si fanno le previsioni sulla durata del nuovo esecutivo. I bookmakers inglesi non gli danno più di anno.

martedì 11 maggio 2010

Clegg-Tory, quasi fatta


LONDRA. Nick Clegg. E’ lui l’uomo attorno a cui ruota il destino della Gran Bretagna. Uscito clamorosamente sconfitto dalle elezioni, nonostante nelle tre settimane precedenti al voto del 6 maggio alcuni sondaggi l’avessero dato addirittura come vincente, il leader centrista dei Liberal Democratici da tre giorni sta trattando con i Conservatori di David Cameron per la formazione di una maggioranza che dia stabilità al Paese. Secondo l’emittente inglese Sky, nelle ultime ore i due avrebbero steso una “bozza d’accordo”, che i vertici dei Tory e dei Lib-dem, impegnati nelle negoziazioni, dovranno proporre ai membri dei rispettivi partiti per l’approvazione. Non si conoscono ancora i termini del “patto” ma, nonostante le proteste dei propri elettori che hanno manifestato di non gradire un appoggio del loro partito ai Tory, per i Liberal Democratici questa potrebbe essere una grande occasione per realizzare uno dei punti chiave del proprio programma: la riforma del sistema elettorale, il maggioritario uninominale secco, che penalizza oltremodo i partiti minori. Un mancato accordo su questo aspetto, rischierebbe di “spaccare” il partito Liberal Democratico e mettere in seria difficoltà Nick Clegg davanti ai suoi sostenitori. Secondo alcuni giornali inglesi, proprio la riforma elettorale e la data delle prossime votazioni sarebbero state infatti tra le condizioni poste dagli esponenti del partito Lib-dem al loro leader per accettare un accordo con i Conservatori.



Se le indiscrezioni fossero confermate, la Gran Bretagna avrebbe finalmente un primo Ministro, David Cameron, e i Conservatori prenderebbero le redini del Paese dopo la lunga esperienza laburista durata tredici anni. Secondo la televisione pubblica inglese, BBC, la pista che porterebbe Clegg ad allearsi ai Laburisti di Gordon Brown, però sarebbe ancora aperta. Lo confermerebbe l’incontro tra il leader centrista e il primo Ministro uscente nel pomeriggio di domenica. Ad accomunare i due partiti ci sarebbe sicuramente la riforma del sistema elettorale attuale. Una priorità per i Liberal Democratici che i Labour sarebbero già pronti a concedere. Ad avvicinare le due formazioni i c’è anche una visione comune sul ruolo che la Gran Bretagna dovrà assumere nell’EU: entrambi i partiti sono filo-europesti e credono che far parte dell’Europa sia un vantaggio. Al momento l’ipotesi di un accordo tra Labour e Lib-dem non può essere ancora esclusa, ma appare più lontana. Anche perché, nella possibilità che i due partiti possano raggiungere un accordo, dovrebbero cercare il sostegno di altre formazioni politiche, come i partiti nazionalisti dell’Ulster, del Galles e lo Scottish National Party per avere la maggioranza assoluta dei seggi.Nonostante le grandi differenze di programma tra Conservatori e Liberal Democratici, in primis la questione della riforma elettorale e del ruolo della Gran Bretagna nell’Unione europea, e alcune altre difformità sui tagli alla spesa pubblica e le tasse, la sensazione è che l’accordo sia vicino e si stia discutendo sugli ultimi dettagli per dare un governo forte e stabile al Paese.



Testo di Vincenzo Sassu

domenica 9 maggio 2010

Cameron chiama Clegg


LONDRA. I sondaggi l’avevano previsto da tempo: Cameron vincente senza una maggioranza assoluta. E così è stato. Con il 36 per cento dei voti, i Conservatori sono riusciti ad avere la meglio sui Laburisti (29) e i Liberaldemocratici (23), ma non hanno comunque raggiunto la soglia dei 326 seggi necessari per formare una maggioranza autonoma. I Tory hanno infatti ottenuto 306 seggi, seguiti dai Laburisti del premier uscente Gordon Brown, 258, e dai Liberaldemorcratici di Nick Clegg, 57. A deludere è stato proprio leader centrista che tre settimane fa, dopo il primo dibattito televisivo, era stato dato addirittura come vincente. Dopo trentasei anni (era il 1974) i britannici eleggono un “hung parliement”, un parlamento in cui nessun partito ha raggiunto la maggioranza assoluta. Gordon Brown, mantiene così un incarico ad interim, fino alla formazione di un nuovo governo. E può tentare per primo di dar vita ad un esecutivo, di minoranza o coalizione, e sottoporlo poi al voto di fiducia nel dibattito di presentazione del programma del nuovo governo, il Queen’s speech. Ora, i Laburisti potrebbero tentare di trovare un accordo con i Liberaldemocratici di Clegg, che si è detto “molto deluso” dal risultato elettorale del suo partito. Se comunque Brown non riuscisse a trovare un appoggio per il suo gabinetto, sarà la regina Elisabetta II ad incaricare il partito in possesso della maggioranza relativa di formare un nuovo esecutivo. Lo stesso Clegg sarebbe d’accordo: “Qualunque partito prenda più voti ed ottenga più seggi ha il diritto di formare il governo”, commenta a caldo, aggiungendo polemicamente degli interrogativi: “Cameron governerà nell’interesse nazionale piuttosto che in quello del suo partito? Cercherà di mettere insieme un governo per la nazione e non uno che rivendichi un mandato che il partito Conservatore non ha?”.

Il giovane e aristocratico leader Conservatore, nella prima conferenza stampa post-elettorale, si dice pronto ad assumersi la responsabilità di guidare la Gran Bretagna: “Abbiamo avuto due milioni di voti in più dei laburisti. Non abbiamo raggiunto la maggioranza assoluta ma ci troviamo di fronte ad una crisi finanziaria e abbiamo bisogno di un esecutivo che dia garanzie ai mercati. Ora inizieremo i negoziati con gli altri partiti: un’idea sarebbe quella di dare rassicurazioni in determinati ambiti per avere un governo di maggioranza oppure portarne avanti uno di minoranza con lib-dem. In entrambi i programmi ci sono dei possibili punti di intesa”. Cameron sottolinea come il nuovo governo “debba affrontare al più presto la minaccia numero uno per il Paese: il deficit”, aggiunge che “con il voto di ieri, i cittadini hanno espresso la loro voglia di cambiare, di avere un nuovo leader”, e promette “un governo forte e stabile che agisca nell’interesse nazionale”. Nonostante non abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, infatti quella dei Tory è stata comunque una vittoria importante. Non solo per i cinque punti percentuali guadagnati rispetto alle ultime elezioni del 2005, ma perché mette fine ad un’epoca: tredici anni di dominio assoluto laburista. Con Tony Blair prima e Gordon Brown poi. I laburisti però non si arrendono e, almeno dalle prime dichiarazioni, sono pronti a resistere e dare battaglia: “I risultati elettorali mostrano come nessun partito abbia raggiunto una chiara maggioranza. E da primo ministro ho il dovere di assicurare che la Gran Bretagna sia sostenuta da un governo forte e stabile”, dichiara il Premier britannico, appoggiato dal numero due, il ministro del Commercio, Peter Mandelson, e da Alan Johnson: “La volontà del popolo britannico è quella che nessun partito abbia la maggioranza assoluta, perciò dobbiamo comportarci da politici adulti e maturi”, sostiene il ministro dell’Interno che lancia anche un messaggio ai lib-dem: “Abbiamo molte cose in comune con loro”. Ora la palla passa nelle mani di Nick Clegg, il centrista corteggiato a destra e sinistra. L’outsider che potrebbe decidere il destino del Paese.

giovedì 6 maggio 2010

Elezioni: Cameron favorito, ma pesa l'incognita Clegg



LONDRA. David Cameron, Gordon Brown e Nick Clegg. Secondo l’ultimo sondaggio diffuso da YouGov, l’accreditato sito internet specializzato in ricerche di mercato, questo dovrebbe essere l’ordine d’arrivo della maratona elettorale inglese che oggi si conclude chiamando i votanti alle urne. Seppur con un margine notevole di incertezza i conservatori otterrebbero il 35 per cento delle preferenze, i Laburisti il 30 mentre i Liberal Democratici il 24. Al di là di vincitori e vinti quella britannica è stata una campagna elettorale innovativa. La prima della storia britannica in cui i candidati si sono confrontati in televisione. ITV, Sky, BBC sono stati i palcoscenici che hanno ospitato i tre dibatti all’”americana”, dove i leader dei più grandi partiti hanno parlato dei loro programmi in materia di politica, economia, immigrazione, riforma elettorale, salute, scuola, Europa. Per i sondaggi, a salire sul gradino più alto del podio, sarà David Cameron, 44 anni, che promette una “grande società” sul modello dei Kennedy. Da tempo dato come vincitore, il leader dei Conservatori è intenzionato a decentralizzare il potere, “dando ai cittadini le chiavi del governo”. Ha in programma un possibile aumento delle tasse ma punta al taglio della spesa pubblica per dodici miliardi di sterline. Vuole riportare il livello dell’immigrazione al 1990 e promette maggiori investimenti per il Servizio Sanitario Nazionale. Il suo obiettivo è quello di trasformare gli ospedali in fondazioni e far sì che i medici abbiano stipendi proporzionati ai risultati raggiunti. Euroscettico da sempre, il giovane leader dei conservatori, durante il secondo dibattito televisivo è stato chiaro: “Vogliamo restare in Europa ma non farci governare dall’Europa, vogliamo la sterlina e non l’euro”.

In questi mesi, il leader uscente Gordon Brown è apparso invece in netta difficoltà. Lui che come Cancelliere aveva animato gli anni del miracolo economico e chiamato a gestire da primo Ministro la crisi, è sembrato stanco, affaticato. Logorato da un potere che vede i laburisti al governo da 13 anni, afflitto da scandali, delusioni e gaffe. L’ultima l’ha coinvolto proprio qualche giorno fa, quando, dopo un collegamento con BBC radio 2, parlando con i suoi collaboratori (a microfoni aperti senza saperlo) aveva dato della “bigotta” alla pensionata del Rochdale, elettrice laburista delusa, che l’aveva appena incalzato con domande pungenti su economia e immigrazione. Filo-europeista, il leader laburista non intende entrare nell’euro, ma è convinto che per la Gran Bretagna sia vantaggioso far parte dell’Europa Unita. In materia economica, prevede pochi tagli alla spesa pubblica e un aumento delle tasse solo per i contribuenti che guadagnano più di centocinquantamila sterline all’anno. Il suo programma prevede un aumento degli investimenti per la scuola pubblica, la limitazione del flusso migratorio e una politica dura per contrastare la microcriminalità. Al di là del risultato finale, l’outsider Nick Clegg, esce comunque vincente dalla maratona elettorale. In poco più di due mesi è balzato nei sondaggi, passando dal 17 per cento del febbraio scorso al 24 attuale. Dopo il primo dibattito trasmesso sul piccolo schermo, in alcuni sondaggi, aveva addirittura superato i rivali. Il giovane leader centrista ha infatti sfruttato con abilità i benefici del palcoscenico televisivo, convincendo migliaia di elettori che pensavano di astenersi. Significativo il suo esordio nel primo incontro del 15 aprile scorso sulla rete commerciale ITV, quando si rivolse ai rivali dicendo: “Questi due vi diranno che l’unica possibilità è votare per uno dei due partiti che ci governano da tempo, ma esiste un’alternativa per creare una società più giusta e più equa. E siamo noi”.

Clegg ha le idee chiare. Vorrebbe tagliare la spesa pubblica per 15 miliardi all’anno, tre dei quali da investire nelle tecnologie verdi. Molto innovativa è anche la sua proposta per la scuola: rimpiazzare i centri statali con istituti gestiti da charity e da privati, supervisionati dalle autorità locali ma non dal governo. Grande europeista per tradizione, Clegg supporta l’euro ma non intende aderire, almeno per ora. E’ stato ribattezzato l’Obama bianco e, come il presidente americano, ha fatto della parola “cambiamento” il suo cavallo di battaglia. Di grande importanza è il suo programma di investimento nelle energie rinnovabili, come il vento, il sole e il mare: “Questa non è un’elezione come le altre, i climatologi dicono che il prossimo governo sarà l’ultimo che potrà fermare il pericoloso cambiamento climatico del pianeta”, ha detto nell’aprile scorso. Nonostante i sondaggi diano Cameron vincente, gli esiti elettorali potrebbero sorprendere: se anche i conservatori riuscissero a spuntarla è molto probabile che non riescano comunque ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Questo perché il sistema elettorale inglese, maggioritario uninominale, non è simmetrico tra numero di deputati eletti e voti ottenuti. Perciò, se un partito ha un elettorato ben distribuito potrebbe avere più seggi di un altro che ha conseguito più voti, ma dispersi in vari collegi. Per riuscire almeno a formare un governo di minoranza, i conservatori sperano così di ottenere una maggioranza relativa con il più alto numero di seggi. Altrimenti la prospettiva sarebbe quella di un governo di coalizione composto da Tory, Labour e Lib-dem. Come nel 1974. Un’esperienza che allora non durò a lungo.