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mercoledì 14 aprile 2010
Fedeli adios
Gli esperti parlano di "cristianesimo residuale". La metà dei giovani si dichiara non credente e le chiese si svuotano. Anche di preti
MADRID. Al passaggio della moglie e della nipote, gli occhi acquosi di Rafael si inumidiscono. Sono grandi, di una particolare sfumatura di verde, e sembrano nuotare in un mare di emozioni al vederle sfilare davanti a lui. Sono da poco passate le undici quando la processione del Corpus Christi attraversa la piazza principale di Toledo e, Rafael, un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchissimi e la pelle arrossata dal sole, è riuscito a farsi largo tra la gente. «Qualche anno fa, per essere in prima fila e riuscire a vedere la processione sarei dovuto arrivare almeno alle otto del mattino qui in piazza. Ma gli anni passano e le persone si allontanano dalla Chiesa». Le parole di Rafael si rincorrono affannate, seguendo i suoi umori che oscillano tra la gioia celebrativa della festa e il dispiacere per la perdita del suo valore sacrale ormai quasi sconosciuto ai giovani abitanti della città e di una nazione che sta progressivamente perdendo fedeli: più di due milioni negli ultimi quattro anni, secondo il vescovo emerito di Valencia, Rafael Sanus Adad. In Spagna il cattolicesimo sta vivendo una crisi profonda. Nel 1998 si dichiaravano cattolici l’83,5% di spagnoli. Nel 2008, secondo un sondaggio realizzato dal CIS, centro di inchieste sociologiche, la percentuale è scesa di 5 punti. Nel tempo, il numero di praticanti è diminuito ancor di più e si attesta a livelli inferiori al 20%. Quello che rimane attualmente è un “cattolicesimo sociale” o “cristianesimo culturale” non conforme ai principi evangelici. Una crisi che interessa non solo i fedeli ma anche i religiosi. «I sacerdoti sono meno numerosi e sempre più anziani», conferma il cardinale Antonio Maria Ruoco, presidente della CEE, la Conferenza episcopale spagnola, e arcivescovo di Madrid in un discorso pronunciato nel novembre scorso davanti alla Conferenza Episcopale, l’assemblea dei vescovi spagnoli.
Gli ultimi dati ufficiali risalenti al 2005 sono chiari: delle 23.286 parrocchie presenti in Spagna, 10.615 non hanno un sacerdote residente. Molti preti sono costretti così ad un vero e proprio tour de force per garantire, almeno la domenica e nei giorni festivi, le celebrazioni eucaristiche per le varie comunità. Secondo il quotidiano spagnolo El Pais, il caso più estremo è quello di un sacerdote quarantasettenne che, nella remota regione rurale della Cantabria, è responsabile di 22 parrocchie allo stesso tempo. Alla crisi di vocazioni, si aggiunge poi l’innalzamento dell’età media dei sacerdoti che ha raggiunto i 63,3 anni e, in alcune zone, i 72,04. Nel 1966 ad esempio la diocesi di Santander aveva 460 sacerdoti. Oggi sono la metà, contando i pensionati. C’erano 430 seminaristi, ne rimangono appena 11. Ci sono comuni come la remota Soria, nella comunità autonoma di Castiglia e Lèon, dove i seminaristi non ci sono proprio e altri centri come Lerida, cittadina nell’est della Catalogna, dove la Chiesa ha importato seminaristi dalle nazioni del Sud America di lingua spagnola per far fronte al considerevole calo.
Seduta su una panchina nell’elegante Plaza de Oriente di Madrid, Natalia osserva il figlio rincorrersi con gli amici. I capelli raccolti sulla nuca da una fascia celeste che le copre la fronte, la rendono giovane, solare. Di tanto in tanto, si alza, fa una passeggiata, sfoglia una rivista. Si considera cattolica, ma non praticante. Crede in Dio, ma fatica a capire la Chiesa come istituzione. «Il problema più grande è che la Chiesa non si adatta ai tempi moderni», racconta. «C’è una sorta di ossessione della gerarchia cattolica per il controllo delle norme morali. I dogmi, presentati come intoccabili, sono una barriera che le impedisce di essere parte del mondo attuale. Quando invece la Chiesa dovrebbe dialogare con tutta la società ed essere aperta al futuro, ai giovani». E sono proprio le giovani generazioni che il cattolicesimo non riesce a capire. Tant’è che, negli ultimi anni, proprio tra i ragazzi, la percentuale di non credenti è cresciuta maggiormente. Solo cinque anni fa era il 22% a definirsi ateo, ora è il 46%. E anche tra i ragazzi che hanno ricevuto un’educazione religiosa la percentuale di non credenti è del 50%. Di quelli che credono in Dio invece il 39% si dichiara cattolico non praticante e solo il 10% attende abitualmente alle funzioni eucaristiche. Ma il dato più significativo è che solo per il 3% di loro, la Chiesa ha un valore significativo nella loro vita.
È ormai da qualche giorno che Gullermo si apposta sulla staccionata durante la festa di San Firmino per seguire los encierros, la discesa sfrenata dei tori per la via principale di Pamplona. Più di un anno fa aveva scattato una foto quasi perfetta da quella postazione: tre fotografi distesi sul selciato a pancia in giù ad immortalare i tori in corsa. Anche quest’anno vuole provarci. Lo incontriamo mentre fruga nella borsa scegliendo l’obiettivo più adatto. Sembra un fotografo professionista, è invece un giovane seminarista. Che scatta fotografie per passione. «Ho scelto un percorso di vita diverso rispetto a quello di tanti miei coetanei. Parlo spesso con loro. Mi confronto su temi etici, politici, sociali. E volte faccio fatica a spiegare le mie posizioni. Il fatto che i valori cristiani possano convivere con la modernità. Anzi possano contribuire a darle valore, significato». Intanto la gerarchia ecclesiastica spagnola non perde occasione per denunciare l’operato del governo Zapatero. Due sono in particolare i provvedimenti a cui la Chiesa si oppone con rigidità: l’approvazione nel 2005 della legge che consente le unioni matrimoniali tra persone dello stesso sesso, permettendo loro di adottare figli, e la nuova normativa sull’aborto approvata dalla Camera nel dicembre scorso. Qualche anno fa la Spagna è stata la quarta nazione al mondo, dopo Olanda, Belgio e Canada, a legalizzare le unioni omosessuali. E rimane ancora l’unico paese cattolico ad averlo concesso. Fortemente osteggiata dalla Chiesa, la nuova legge, approvata nel febbraio scorso, che consente l’interruzione di gravidanza dà invece la possibilità di farlo fino al compimento della quattordicesima settimana. Secondo questa normativa, le ragazze minorenni (dai 16 anni) possono così abortire senza informare i genitori.
La situazione di difficoltà che vive il cattolicesimo in Spagna non può non tener conto delle religioni minoritarie che stanno modificando il panorama confessionale spagnolo. Oggigiorno, i protestanti contano 2.200 congregazioni e 1,2 milioni di fedeli evangelici, secondo la Federation Entidades Religiosas Evangelicas de Espana (FEREDE). Ad aumentare in particolare è stato il numero di islamici. La percentuale di spagnoli convertitisi all’Islam non è alta ma influiscono i molti migranti di fede musulmana arrivati in Spagna negli ultimi anni. Le organizzazioni islamiche parlano di mezzo milione di persone, che aumentano di anno in anno. Anche le altre comunità sono in crescita E tutte vorrebbero beneficiare degli stessi finanziamenti statali di cui beneficia la religione cattolica in termini di finanziamenti statali.
«Oggi gli spagnoli sono religiosi per tradizione o totalmente indifferenti alla sfera sacra», sostiene Rafael Diaz Salazar, insegnante di sociologia dell’università Complutense di Madrid. «Rimane una religione popolare che si manifesta in feste o riti che mantengono ancora intatta la loro importanza. Tra i riti, il matrimonio religioso è tuttora molto praticato. Secondo le ultime statistiche del 2002, le unioni civili rappresentano solo il 26,64% di 209.065 matrimoni». Per Salazar, quello che ora si vive in Spagna è una transizione che vede lo “spostamento della centralità della religione” alla periferia degli interessi dei cittadini. I sociologi spagnoli parlano di “cristianesimo residuale”. Una tendenza che contrasta con le celebrazioni della Settimana Santa; basti pensare che, una delle più grandi manifestazioni spagnole, la processione del Venerdì Santo di Siviglia accoglie fedeli da ogni parte d’Europa e del Mondo. Quella Andalusa però è un tipo di religiosità particolare: se le celebrazioni attorno ai simboli religiosi sono numerose e molto seguite, è invece limitato il numero di pratiche religiose ortodosse.
Nell’autobus per Granada, il paesaggio prende colore, si sfuma, si accende seguendo i ritmi frenetici del cielo. Margarita guarda ammirata oltre il finestrino. È un’anziana insegnante in pensione in viaggio verso la città dell’Alhambra, la perla della Spagna, dove la figlia lavora ormai da qualche anno. Ha in mano un rosario e un libro di preghiere che recita a bassa voce. «La religiosità Andalusa è lontana dall’ideologia religiosa dominante, dal suo aspetto istituzionale, rappresentato dalla Chiesa, e si costituisce di una serie di credenze, pratiche e rituali che formano parte della nostra cultura. La nostra è una religiosità popolare legata ad una dimensione spirituale personale che diventa poi condivisa nelle cerimonie pubbliche. Lontana dai precetti e dalle imposizioni del Vaticano». Anche nei luoghi sacri della Spagna, come la città di Santiago del Compostela meta storica dei pellegrinaggi europei, che, con il suo cammino, indica la rotta spirituale occidentale, la religiosità sembra sia diventata quasi un elemento culturale, legato alla tradizione, più che alla fede. «Negli ultimi tempi si è perso lo spirito che animava questo posto, visitato in ogni periodo dell’anno. Sono spesso stranieri, gite organizzate di anziani, in particolare portoghesi, che vengono qui. Ma i grandi gruppi di giovani, quelli che lo rendevano così speciale, ormai sono diventate delle sparute comitive», racconta un vecchio panettiere di Santiago, che di fedeli nella sua vita ne ha visti passare a milioni. Ha gli stessi occhi, la stessa espressione di Julia, una casalinga di Madrid che, tornando a casa dopo la processione di San Isidro, racconta di invocare il Santo per assistere il cattolicesimo in Spagna. «Una religione che sta morendo», dice a bassa voce.
Fotografie e testo di Vincenzo Sassu
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