domenica 27 febbraio 2011
El Futuro del Periodismo
Sul sito del quotidiano "El Pais" potete trovare il video di un interessante dibattito in spagnolo tra i direttore del "New York Times", "The Guardian", "Der Spiegel, "Le Monde" sulle conseguenze prodotte dai cablogrammi diffusi da Wikileaks sui rapporti diplomatici con gli Stati Uniti e sul valore e l'influenza del web e delle nuove tecnoligie nelle rivolte arabe.
Questo è il link: Debate sobre el futuro del periodismo
Fonte: wwww.elpais.com
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mercoledì 16 febbraio 2011
La rivoluzione del Web
February 11th 2011 belongs to the people of Egypt, as they celebrate their victory in their struggle for democracy and human rights - L'11 febbraio 2011 appartiene all'Egitto che celebra la sua vittoria nella lotta per la democrazia e i diritti umani
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lunedì 14 febbraio 2011
Violenze e torture. Ong accusa: "Migliaia di oppositori sequestrati dall'esercito"
L’esercito egiziano ha sequestrato in segreto centinaia, forse migliaia, di oppositori governativi, scesi in piazza per animare le proteste contro il Presidente egiziano Hosni Mubarak che stanno sconvolgendo il Paese dal 25 gennaio scorso. A dichiararlo al quotidiano britannico The Guardian sono alcuni dimostranti ed associazioni per la difesa dei diritti umani come Human Rights Watch, che imputano agli uomini delle forze armate di essere responsabili di scomparse, torture e abusi. I militari respingono categoricamente le accuse, ma un attivista di Human Right Watch, Joe Stork, raggiunto telefonicamente al Cairo dichiara: “Ci sono stati alcuni casi di persone che ci hanno rivelato di essere state torturate dalla polizia e dall’esercito. D’altronde, quello della tortura rappresenta un grande problema in Egitto, adottata dall’esercito, dalla polizia e dai servizi segreti. Al riguardo, Human Rights Watch ha diffuso recentemente un documento sugli abusi nelle prigioni egiziane. Nessuno però si assume la responsabilità di questi terribili atti e le autorità non investigano né puniscono le persone responsabili”.
Secondo l’organizzazione non governativa internazionale, con sede a New York, sono decine le famiglie che denunciano la scomparsa dei propri cari finiti nelle mani dell’esercito. Le persone rilasciate dichiarano invece di essere state vittime di abusi fisici, alcuni perpetrati all’interno del Museo Egizio, a pochi passi dall’epicentro delle proteste: piazza Tahrir. Tra loro c’è Ashraf, un ragazzo di 23 anni, intervistato dal The Guardian: “Ero per strada e un soldato mi ha fermato chiedendomi dove andassi. Mi ha accusato di lavorare per i nemici stranieri, poi sono accorsi altri soldati e hanno iniziato a picchiarmi con le armi”. Ashraf racconta di essere stato trasportato con le mani legate dietro il Museo Egizio in una zona sotto controllo militare: “Mi hanno messo in una stanza. Un ufficiale è arrivato e mi ha chiesto da chi fossi pagato per essere contro il governo. Quando ho detto che avrei voluto un governo migliore, mi ha colpito in testa facendomi cadere a terra. Poi i soldati hanno iniziato a prendermi calci, anche in mezzo alle gambe”. Il ragazzo racconta di essere stato intimidito con una baionetta e minacciato di essere violentato. “Mi dicevano che sarei potuto morire lì o sparire in una prigione senza che nessuno lo sapesse. La tortura era dolorosa ma l’idea di sparire in una prigione militare era terrorizzante”. Ashraf rivela anche di essere stato picchiato per ore prima di venire rinchiuso in una stanza con decine di uomini, tutti gravemente torturati. Rilasciato dopo 18 ore, gli viene intimato di non recarsi più a piazza Tahrir. Per Human Rights Watch l’esercito, che aveva mantenuto apparentemente un atteggiamento neutrale, starebbe mettendo in atto una vera e propria campagna intimidatoria. Al momento l’organizzazione parla di 119 arresti ma non esclude altri casi ancora sconosciuti, non solo al Cairo ma in tutto il territorio nazionale.
Articolo di Vincenzo Sassu
Fotografie pubblicate da New York Times, Leaksources.wordpress.com, TNT Magazine
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venerdì 11 febbraio 2011
Sistematici attacchi ai giornalisti
“Furti, violenze, arresti arbitrari, linciaggi. La lista delle aggressioni ai giornalisti attuata dai militanti di Mubarak non fa che allungarsi di ora in ora. Aggressioni che hanno un carattere sistematico e concertato”. Il segretario generale di Reporters sans Frontières, Jean-François Julliard, condanna gli attacchi che i reporter di tutto il mondo stanno subendo in Egitto, mentre cercano da giorni di raccontare l’evoluzione imprevedibile degli eventi. Le cifre che arrivano all’organizzazione internazionale francese, impegnata per la tutela della libertà di stampa nel mondo, sono drammatiche: 26 giornalisti aggrediti, 4 casi di materiale confiscato (telecamere, macchine fotografiche), una redazione attaccata, 19 giornalisti arrestati. Venerdì, il primo morto. Si chiamava Ahamad Mohamed Mahmoud, lavorava per il quotidiano Al-Ta'awun ed era stato colpito alla testa da un cecchino nella zona di Qasr al-Aini, nei pressi dell’epicentro delle rivolte: piazza Tahrir.
Nei giorni scorsi, anche il Dipartimento di Stato americano ha denunciato “una campagna per intimidire i giornalisti e rendere impossibile il lavoro in Egitto”, invitando le autorità a liberare tutti gli arrestati. Un regime quello di Hosni Mubarak che, attraverso i suoi sostenitori, sta prendendo di mira i media, accusandoli di aver destabilizzato l’Egitto e fomentato le proteste contro il Presidente. Sono arrivati da tutto il mondo i reporter che stanno coprendo le vicende egiziane e condividono storie di aggressioni, arresti e violenti interrogatori. Sahar Talat corrispondente in Egitto della redazione spagnola di Radio France Internationale racconta ad esempio di essere stato accerchiato, colpito dalla folla e accusato di essere una spia di Al Jazeera. Rubert Wingfield-Hayes della BBC dice invece di essere stato attaccato da alcuni militanti mentre guidava in una via del Cairo, portato al cospetto della polizia, bendato ed interrogato, prima di essere rilasciato dopo qualche ora. Secondo l’agenzia di stampa turca Anatolia, un giornalista di Fox Tv Turchia, il suo cameraman e l’autista sono stati rapiti e minacciati con dei coltelli mentre filmavano le manifestazioni ed in seguito liberati dalla polizia egiziana. Anche uno dei giornalisti americani più conosciuti, Andersoon Cooper della CNN, racconta di essere stato inseguito dalla folla, che poi ha distrutto i filmati che aveva girato. Nella mattinata di venerdì vengono arrestati anche i nostri colleghi Michele Giorgio del Manifesto e Giovanni Porzio di Panorama: bloccati da una banda di giovani armati di coltelli, vengono poi consegnati ai militari e alla polizia, e rilasciati.
Ad accusare le autorità egiziane di mettere “a tacere le voci del popolo egiziano” è anche Al Jazeera, a cui già dal 30 gennaio scorso era stato vietato di coprire le rivolte contro il Presidente Mubarak. L’emittente satellitare del Qatar, oltre a venire censurata dal governo, che ne ha chiuso le trasmissioni, ha subito anche gli assalti di “bande di delinquenti” che hanno dato fuoco ai suoi uffici nella Capitale egiziana, prima dell’arresto del direttore e di un suo giornalista. “Sembra che nel Cairo non ci sia più un luogo dove i giornalisti stiano al sicuro. Il potere egiziano deve considerarsi responsabile di una politica aggressiva di tale portata” commenta Julliard, che invita “la comunità internazionale ad esprimere una posizione forte ed unanime di condanna”, tirando le conclusioni dagli incidenti accaduti fino ad ora per l’applicazione di eventuali sanzioni.
"Io giornalista sotto assedio". La testimonianza del reporter e fotografo Alfredo Macchi inviato in Egitto
Articolo: Vincenzo Sassu
Fotografie: Associated Press Agency (published by The Kansas City Star)
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