sabato 26 dicembre 2009
Deserta la spiaggia
Era deserta la spiaggia. Un enorme lenzuolo di sabbia che il vento si divertiva a lanciare per aria, scuotere nell’atmosfera, mescolare e distribuire in maniera casuale. All’apparenza. E quei granelli sembravano pioggia, sconosciuti cicloni d’acqua nell’Oceano. Di una violenza dolce, perché sconosciuta. Inascoltata perché priva di danni. Solo un fermento d’acqua. Di pesci piacevolmente sballottati a centinaia di metri di distanza. Come antichi ricordi.
Così quelle particelle infinitesimali di sabbia che lo avvolgevano come un lenzuolo. Come un letto sfatto. Illuminato dai primi bagliori di luce, sgattaiolati furtivi tra le persiane, per rinvigorire l’atmosfera dei colori giovani, aspri del mattino.
Ma i suoi occhi di meraviglia erano solo per lui: il Mare. Lo vedeva sconvolgersi, agitarsi, fare le capriole. Lo osservava alzarsi, contorcersi su se stesso, allungarsi piano fino a sfiorargli i piedi, diventando bianco. Canuto. Nasceva vigoroso e col tempo invecchiava. Imbiancandosi di schiuma.
Se ne stava lì sul bagnasciuga. Su quello spazio che non era terra, non era mare. In quell’angolo dove vivi per un attimo, dove le orme spariscono in un battibaleno e cancellano ogni traccia della tua presenza. In quella distesa dove l’uomo viene perennemente battuto dall’acqua. Dove qualunque cosa faccia è livellata dal Mare, che rende tutto uniforme e cancella ogni traccia. Come una vita vissuta in un attimo, in un battito di ciglio.
E cantava il vento. Parlava di terre lontanissime, sconosciute. Odorava di deserto, di miraggi, di pozzi sognati. Di vite tribolate. Di ricchezza violenta e povertà silenziosa. Di sfarzi dorati e baracche d’argilla. Di centri luminosi e periferie buie. D’Africa.
Quell’aria aveva attraversato il mare, percorrendo chilometri e chilometri, sorvolando villaggi, paesi, città. Capanne di fango, palazzi d'argento e case di campagna. Ed ora sussurrava nelle sue orecchie qualcosa di sconosciuto. Ed erano bisbigli di vite passate, di generazioni vissute e pensieri sospesi.
Quelli maturi e vecchi della sera.
Fotografia della spiaggia di Porto Ferro (Alghero) e testi di Vincenzo Sassu
martedì 15 dicembre 2009
Un gelataio in un giorno d'inverno
Sembrava un catino di panna montata che un vecchio gelataio avesse spalmato, divertito, in quella distesa azzurra. Lui la osservava e lei cambiava forma. Si allungava e si compattava. Per poi distendersi ancora, sfilacciandosi. Disintegrandosi in una marea di stelle filanti aggrappate lassù, sospese. E mentre si gustava lo spettacolo, sorrideva, quel matto gelataio che un giorno d’inverno, senza clienti, si era messo in testa di addolcire il cielo.
Testi e foto di Vincenzo Sassu
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